La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria immuno-mediata cronica caratterizzata da infiammazione spinale, rigidità spinale progressiva e artrite periferica.
Si pensa che l’interleuchina 17 ( IL-17 ) sia una citochina infiammatoria chiave nello sviluppo della spondilite anchilosante, la forma prototipica delle spondiloartriti.
Uno studio ha valutato efficacia e sicurezza del anticorpo monoclonale anti-IL-17A Secukinumab nel trattamento di pazienti con spondilite anchilosante attiva.
E’ stato condotto uno studio randomizzato, in doppio cieco e proof-of-concept in 8 Centri in Europa ( 4 in Germania, 2 in Olanda e 2 nel Regno Unito ).
Pazienti di età compresa tra 18 e 65 anni sono stati assegnati in maniera casuale e in un rapporto 4:1 a Secukinumab per via intravenosa ( 2×10 mg/kg ) oppure placebo, somministrati ogni 3 settimane.
L’endpoint primario di efficacia era la percentuale di pazienti con una risposta del 20% in base ai criteri per il miglioramento Assessment of SpondyloArthritis international Society ( ASAS20 ) alla settimana 6 ( analisi Bayesiana ).
La sicurezza è stata valutata fino alla settimana 28.
Sono stati sottoposti a valutazione 37 pazienti con spondilite anchilosante moderata-grave, e 30 sono stati assegnati in maniera casuale a ricevere Secukinumab per via endovenosa ( n=24 ) oppure placebo ( n=6 ).
L’analisi finale di efficacia ha incluso 23 pazienti trattati con Secukinumab e 6 pazienti che hanno ricevuto placebo; l’analisi di sicurezza ha incluso tutti e 30 i pazienti.
Alla settimana 6, le stime di risposta ASAS20 sono state 59% nel gruppo Secukinumab versus 24% nel gruppo placebo ( probabilità del 99.8% che Secukinumab sia superiore a placebo ).
Un evento avverso grave ( ascesso sottocutaneo causato da Staphylococcus aureus ) è stato osservato nel gruppo Secukinumab.
In conclusione, Secukinumab ha ridotto rapidamente i segni clinici o biologici di spondilite anchilosante attiva ed è risultato ben tollerato.
Questa è la prima terapia mirata nota che rappresenta un’alternativa all’inibizione del fattore di necrosi tumorale per raggiungere il suo endpoint primario in uno studio di fase 2. ( Xagena2013 )
Baeten D et al, Lancet 2013; 382: 1705-1713
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